Ottimismo e pessimismo cosmico
Antonio Cormano·Sabato 11 aprile 2020·5 minuti
Riflessioni estemporanee.
Tutti in questi giorni chi più chi meno abbiamo riportato alla mente il pessimismo cosmico di Leopardi.
Siamo in minoranza a riportare alla mente il suo contrario, in altre parole “l’ottimismo cosmico” di Gianni Rodari.
Invece il suo nome è efficace antidoto alla crisi pandemica. Il segreto è, verosimilmente, nelle parole risolutive e da lui usate: speranza, comunità, infanzia e anche per i suoi e nostri maestri di pensiero, Leopardi e Gramsci.
Dovremmo riscoprire ad alta voce le sue: poesie, le sue favole al telefono, e non, i suoi racconti lunghi e perché no la sua “Enciclopedia della favola”, in altre parole, fiabe di tutto il mondo per 365 giorni.
C’è qualcosa di Rodari di cui abbiamo bisogno in questi tempi incerti e opachi: il suo ottimismo cosmico. Declinandolo oggi, più di ieri in cerchio a parole come: speranza, comunità, infanzia, insieme, Perché l’una senza l’altra è muta, non dice niente.
Iniziando da Speranza. Rodari ha prediletto moltissimo Leopardi e Gramsci. Dai due autori ha imparato a usare abilmente i concetti di “ottimismo” e “pessimismo”.
È conosciuto l’invito di Gramsci a leggere il mondo con l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione, in modo particolare nei momenti peggiori.
Scrive Gramsci: “D’altronde ogni collasso porta con sé disordine intellettuale e morale. Bisogna creare uomini sobri, pazienti, che non disperino dinanzi ai peggiori orrori e non si esaltino a ogni sciocchezza. Pessimismo dell’intelligenza, ottimismo della volontà” (Cfr. Quaderno 28, pp. 10-13).
Rilanciato da Rodari nella sua “Grammatica della fantasia”. (abbiamo una vecchia edizione edita dagli editori riuniti) A cosa ci serve il “Voler essere… se "l’essere” è ridotto a brandelli”? Non è facile ma nei momenti di crisi questa contraddizione ci deve servire per immaginare il futuro. Così come “L’utopia non è meno educativa dello spirito critico. Basta trasferirla dal mondo dell’intelligenza” (Gramsci prescrive giustamente il pessimismo metodico) a quello della volontà (la cui caratteristica principale, secondo lo stesso Gramsci, dev’essere l’ottimismo).
C’è un regno della speranza e si chiama utopia la quale ci deve sempre guidare le nostre azioni anche nei momenti più bui. E qui Rodari si supera: “Se io avessi una botteguccia/ fatta di una sola stanza/ vorrei mettermi a vendere/ sai cosa? La speranza”. Ecco L’ottimismo della volontà cosmico è l’invito a fare il meglio, anche se la ragione ci spingerebbe a mollare.
È l’esatto contrario del pessimismo cosmico di Giacomo Leopardi per il quale ogni azione umana è vana perché la felicità è sempre figlia di un dolore, la quiete ci è data soltanto dopo la tempesta. «O natura cortese, / Son questi i doni tuoi, / (…) Uscir di pena/ È diletto fra noi.».
Risponde Rodari: «Non sarebbe più conveniente/ il temporale non farlo per niente?/ Un arcobaleno senza tempesta, / questa sì che sarebbe una festa».
Rodari sa bene che la tempesta, però a volte arriva. E in questo caso bisogna appellarsi allo spirito solidale della comunità. Perché “il problema degli altri è sempre uguale al mio, uscirne da soli è avarizia, uscirne insieme è la politica”. È noto trattasi della frase di Don Milani in “Lettera a una professoressa” e Rodari fa sua.
Che cosa è una comunità? Un monolite o un luogo di apprendimento continuo?
Questi interrogativi si trovano nel Rodari meno conosciuto “Benelux” di Paese sera. Prende spunto da una lettera ricevuta dopo il rapimento dell’onorevole democristiano Moro nella quale dei bambini si domandano se sia ancora possibile chiamare il loro giornalino scolastico “Lieta brigata”. La parola brigata, infatti, è sinistramente associata dai bambini a quelle Brigate rosse che hanno rapito Moro. Rodari, con la consueta, radicale, lucidità risponde ai bambini che “brigata” è una parola bellissima, la usavano, infatti, i partigiani. Non bisogna aver paura del proprio tempo.
Anche in frangenti tragici: si mettano a frutto le sue buone disposizioni, le energie che offre la comunità.
Perché adulti e bambini condividono una porzione di mondo che mai come oggi è allo stesso tempo imposta e negata: si chiudono i giovani in casa insieme ai genitori e si chiede loro di farsi carico delle difficoltà del mondo dei grandi (niente gioco, niente amici, niente di niente). In cambio cosa si dà loro? Dove è la loro voce? Continuare a discutere di loro senza di loro, di come valutarli, per esempio, invece di cercare di capire cosa stanno vivendo è offensivo della loro intelligenza e della nostra.
Rodari nel 1976 in un articolo contro il voto scolastico scrive: “Non guardiamo indietro, guardiamo al presente, guardiamo avanti. Oggi la scuola vuole essere la scuola di tutti, non di pochi privilegiati. Vuole rispondere a una domanda di democrazia e di giustizia che viene da tutto il Paese. Anche per questo, non vuole più essere la scuola ’che giudica’, ma la scuola ’che aiuta tutti a sviluppare le loro capacità’. Sarà una scuola meno seria? Al contrario, sarà più seria. Vi si lavorerà di meno? Sarebbe un errore: vi si lavorerà di più, ma meglio. Ci sarà meno disciplina? Direi che ci sarà meno bisogno di ricorrere ai mezzi di una disciplina esteriore se sapremo attrezzare la scuola per diventare un centro di attività interessanti, impegnative, creative: se fanno una cosa che li interessa davvero, i ragazzi non hanno bisogno di essere richiamati all'ordine”.
Rodari questo non si stanca mai di dirlo, fidandosi, come Leopardi del resto, più della giovinezza che dell’età adulta. Non per sommo pessimismo verso i suoi coetanei ma per il suo ottimismo cosmico: del resto è ai bambini che si rivolge quando c’è bisogno di fare le cose difficili come “dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi”.
Tutti brani citati si trovano in rete o come quelli di: Gramsci e Leopardi anche sul cartaceo in nostro possesso.
Il tutto è ispirato da un articolo apparso sul quotidiano il “manifesto” di alcuni giorni or sono.

12 aprile 2020

Antonio Cormano